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Caseificio

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Come realizzare un piccolo caseificio aziendale
Un laboratorio aziendale lo si può realizzare anche in 10 metri quadrati! Sei un piccolo allevatore, hai un’azienda agricola e vuoi trasformare il tuo latte invece di regalarlo? Lo puoi fare con un piccolo investimento per un mini-caseificio.
Questi impianti, in genere compatti e monoblocco, riescono ad assolvere tutte le operazioni tecniche necessarie alla trasformazione del latte. I “mini-caseifici” racchiudono in se tutte le attrezzature casearie e di servizio di un caseificio industriale, in scala ridotta. I processi da sviluppare sono: il riscaldamento del latte, la coagulazione del latte in cagliata, la rottura e l’agitazione della cagliata, il travaso della stessa in appositi stampi, un sistema di raccolta del siero (che può essere scaldato e trasformato in ricotta nella stessa vasca nella quale si è lavorato il latte), un sistema di salatura dei formaggi e, infine, una cella di maturazione/stagionatura dei formaggi. La stagionatura può essere effettuata anche in cantine adeguate, con opportune condizioni di temperatura e umidità. Macchine e attrezzature per la caseificazione
Innanzitutto è importante avere una piccola caldaia da 200 litri e un gruppo produttore di acqua calda (da 30mila a 70 mila Kcal); un serbatoio polivalente per la lavorazione del latte, in genere con doppio fondo, per lo scambio di calore tra la soluzione circolante (con vapore e/o acqua calda) e il latte o la cagliata contenuta all’interno; in questo modo si riscalda il latte e si pastorizza. Questi serbatoi sono in acciaio inox, dotati di coperchio e di capacità sufficiente (da 200 a 1.000 l) e di attacchi di collegamento all’acqua fredda (per il raffreddamento). Il serbatoio è poi a volte dotato di un motore al quale si collegano gli attrezzi accessori per l’agitazione ed il taglio del coagulo. I serbatoi devono inoltre essere dotati di una valvola di scarico di adatte dimensioni posta sulla parte bassa della parete, attraverso la quale scaricare latte, siero e cagliata negli stampi. I generatori di acqua calda e vapore possono funzionare a metano, gasolio o anche ad energia elettrica. Infine, il quadro elettrico di controllo per l’azionamento del generatore di vapore e della pompa (per il carico e scarico del latte e del siero), al quale è collegata in genere una sonda di controllo della temperatura del latte e dell’acqua di riscaldamento.  Naturalmente occorre avere anche una cella di maturazione refrigerata dotata di impianto frigorigeno autonomo elettrico, isolata e scaffalata internamente, di adatte dimensioni per le quantità e caratteristiche dei formaggi che si vogliono produrre. Poi una vasca per la salamoia, per la salatura dei formaggi. Inutile dire che qualsiasi minicaseificio aziendale deve disporre di acqua fredda potabile per i lavaggi, in misura di almeno 5-10 volte il volume del latte che si lavora giornalmente (ca. 500 / 1.000 l di acqua x hl di latte). Gli impiantini descritti, in generale possono essere utilizzati indifferentemente per qualsiasi tipo di latte : ovino, bovino, caprino o bufalino e le capacità produttive dei mini-caseifici sul mercato variano da 200 a ca. 1.000 l di latte, tenendo presente che, normalmente, il tempo richiesto per la lavorazione è tale da consentire due lavorazioni al giorno. Le dimensioni di ingombro di un mini-caseificio variano da poco meno di 1,7 x 0,9 metri per un modello minimo comprendente solo la caldaia ed il gruppo generatore acqua calda (senza tavolo spersore e/o altri impianti di servizio), a quelle, comprensive di una cella di refrigerazione, relative ad impianti completi, dotati anche di servizi igienico-sanitari di base che possono richiedere ca. 10 – 20 metri quadri x quintale di latte lavorato.
Costi e finanziamenti per produrre formaggi
Facciamo una stima dei costi: senza tenere conto dei costi per l’adattamento dei locali aziendali, quale può essere l’investimento minimo necessario per un mini-caseificio dotato di punto vendita e che trasformi almeno 300 litri?
Gruppo caldaia + unità polivalente da 300 a 600 lt. Dai 15 mila ai 40mila euro; Cella refrigerata di circa 10 mc dai 5 mila ai 10 mila euro; Attrezzature varie, tipo pompa, tavoli di sgrondo, stampi ecc. circa 8 – 10 mila euro; Serbatoio refrigerante per latte fresco 3 mila euro; Confezionatrice sottovuoto circa 3 mila euro; Banco refrigerato per il punto vendita con tutti gli accessori annessi, dai 4 ai 7 mila euro;
Quindi, un mini-caseificio compreso di punto vendita può costare dai 35 mila euro (per circa 300 litri di latte lavorato) ai 70 mila euro (per oltre 500-600 litri). Senza il punto vendita e ridimensionando i volumi e la cella frigo, un piccolo caseificio può essere montato con 15 mila euro. Un investimento tutto sommato basso, ideale per chi vuole valorizzare la materia prima e crearsi una nuova rendita. Non vi pare?
IL NOSTRO PROGETTO
COMUNE DI MENCONICO (PV)
Storia
Menconìco (questa la corretta accentazione, mentre quella che talvolta si trova scritta, Mencònico, è errata) ed il suo territorio fu abitato nella preistoria, poi passò nei possedimenti dell'Abbazia di San Colombano di Bobbio, fondata da San Colombano nel 614.
Dopo la caduta dei Longobardi a opera di Carlo Magno, il Sacro Romano Impero costituì i Feudi Imperiali, all'interno della Marca Obertenga, con lo scopo di mantenere un passaggio sicuro verso il mare, assegnò Menconico, con molti dei territori limitrofi, alla famiglia dei Malaspina.
Quindi fece parte del Marchesato dei Malaspina fin dalla sua istituzione nel 1164, e nelle divisioni tra i rami della famiglia (di cui la prima, nel 1221, fu siglata nella casa dei marchesi proprio a Menconico), toccò al ramo dello Spino Fiorito e, tra i rami da esso generati, a quello dei Malaspina di Varzi. Questi ultimi si divisero a loro volta in tre rami, di cui uno ebbe il dominio del cosiddetto Terziere di Menconico.
Questo ramo si estinse dopo tre sole generazioni, all'inizio del XIV secolo; nonostante le proteste degli altri Malaspina, il feudo fu incamerato dal duca di Milano, e ne furono investiti gli Sforza di Santa Fiora, che in tal modo misero piede in questa zona: essi erano destinati a divenire feudatari di gran parte dell'alta valle Staffora (fino al 1797).
Fece poi parte sotto i Savoia della Provincia di Bobbio inserita in Liguria sotto il dipartimento di Genova.
Comunque Menconico mantenne il suo territorio determinato dalle divisioni tra i Malaspina, che corrisponde quasi esattamente all'attuale comune. Nel 1859 entra a far parte della provincia di Pavia e quindi della Lombardia come circondario di Bobbio fino al 1923.
Solo nel 1929 la frazione Bersanino passò al costituendo comune di Santa Margherita di Staffora.
Nelle foto soto : Allevamento bovini e capre da cui si ricava il latte necessario alla produzione
Nelle foto soto : Il caseificio pronto per l'imballo e la spedizione
Il Comune di Menconico si trova in provincia di Pavia tra i più noti Comuni di Varzi e di Bobbio (PC).
Clicca sulla immagine qui sotto per la vista satellitare.
Vista aerea del Comune di Menconico (PV)

Dott. Ing. Walter Navarra

COSTITUZIONE DI UN CASEIFICIO IN ZONE SVANTAGGIATE DI MONTAGNA E DI COLLINA NELL’OLTREPO PAVESE

La costituzione di un Impianto di Caseificazione che utilizzi “latte di qualità” nelle zone dell’Oltrepo Pavese (Comuni di Varzi, Menconico…ecc.) è strettamente legata alla presenza nel territorio di animali di razza bovina Varzese, razze ovine a caprine adattate da tempo alle caratteristiche pedomorfologiche e climatologiche della zona.
Questi animali possono usufruire della stabulazione invernale integrata, nelle altre stagioni, da pascolo libero con la transumanza verticale, unitamente alla presenza di prati-pascoli utili a fornire il fieno autoctono necessario alla conduzione degli animali oltre alle integrazioni  possibili nelle zone più pianeggianti di cereali e di altre colture proteiche.
Da una prima stima analitica, fornita dalle Associazioni locali di categoria, si evince la presenza di una produzione di latte bovino pari a 50 vacche di razza “Varzese” in grado di produrre annualmente
⦁ n. 50 vacche x 15 l/giorno x 360 = 270.000 litri di latte all’anno ;
⦁ n. 150 pecore “in lattazione” in grado di produrre annualmente n. 150 capi x 300 litri/anno = 45.000 litri/ anno;
⦁ n. 100 capre camosciate “in lattazione” in grado di produrre annualmente n. 100 capi x 400 litri/anno = 40.000 litri/anno.
Si tratta, quindi di una produzione attuale “totale annua” di 270.000+45.000+45.000 = 355.000 litri annui, pari ad una produzione media giornaliera di 986 litri al giorno.
La produzione attuale, quindi, costituisce una sufficiente base di partenza per promuovere l’ottenimento di questi risultati:
⦁ consolidare la situazione attuale della produzione lattiero casearia, garantendo la remuneratività e la sicurezza del pagamento del latte;
⦁ incentivare la selezione e la crescita numerica del patrimonio zootecnico, in particolar modo della vacca “Varzese”, utilizzando anche la collaborazione delle Università locali e degli Istituti specializzati nella selezione della razza;
⦁ incentivare  il recupero e la creazione di terreni a pascolo libero per le tre specie vacca, pecora, capra, utilizzando i terreni attualmente incolti.
La ricaduta socio-economica di questo progetto sta nel fatto che esso potrà portare  a:
⦁ consolidamento e crescita del patrimonio zootecnico e del personale addetto alle attività legate all’allevamento semistanziale (sia allevamento puro,  che pastorizia) ma anche transumanza verticale (in particolare pastorizia) stimabile in un numero di addetti pari a:
* vacche n. 5 addetti;
* pecore n. 2 addetti;
* capre n. 2 addetti;
-      riqualificazione dei terreni incolti ed infestati da malerbe, come conseguenza della pulizia che le pecore, ma soprattutto le capre, effettuano nel pascolo libero;
-  salvaguardia delle zone attualmente abbandonate o sottoutilizzate nei confronti degli incendi;
- controllo attivo e crescita del cotico erboso, unico sistema ecologico valido per la regimentazione  delle acque meteoriche e per la prevenzione di eventi di dissesto idrogeologico e/o franosi.
Naturalmente la Costruzione di un Caseificio in una zona con le caratteristiche su descritte deve tener presente:
⦁ la valorizzazione del “latte di qualità” esistente, che è pieno dei sapori e degli odori derivanti dalle erbe spontanee che gli animali mangiano, con la produzione di prodotti di nicchia che per altro già esistono come il “cacio di Montebore” che è presidio Slow Food;
⦁ il consolidamento ed il potenziamento di tale produzione lattiera con una crescita “al raddoppio” nell’arco di 5 anni che porti gli addetti dagli attuali 9 a 18;
⦁ il dimensionamento del Caseificio che, partendo dalla lavorazione di 900 litri al giorno si adegui alla prevista crescita della quantità di latte con una occupazione che arriverà ad 8 addetti dagli iniziali 4;
⦁ la commercializzazione del Formaggio prodotto, che miri a far conoscere il prodotto stesso ed a contenerne il prezzo di vendita entro i limiti che la attuale situazione economica impone, in modo da poter permettere ad una fascia  “media” di popolazione di acquistare con costanza i prodotti a marchio di qualità (Slow Food, Denominazione di Origina Comunale) che sono utili al mantenimento di una qualità della vita e di salute alimentare.

I formaggi di capra
I consumatori li apprezzano sempre di più per il loro gusto e la loro leggerezza e non solo i classici caprini a coagulazione lattica e presamica lombardi e piemontesi ma a anche le produzioni di nicchia, dal cadolet della Valcamonica al padduni siciliano, passando per la cacioricotta del Cilento

Il consumo di latte e formaggi di capra, da alcuni anni, in Italia è in continua crescita, merito della maggiore digeribilità e leggerezza di questo latte, in alcuni casi adatto anche alle persone intolleranti al latte vaccino, non certo a quelle che hanno problemi con il lattosio, visto che questa sostanza è contenuta anche nel latte di capra; ma a quelle, ad esempio, il cui intestino mal sopporta la componente lipidica del latte, ossia la caseina, che nel latte di capra è presente in misura assai inferiore rispetto a quello di mucca.
Il latte di capra si distingue anche per il contenuto ottimale di calcio e fosforo e la ricchezza in vitamine. Da sottolineare anche l’elevata presenza di taurina, vero energizzante naturale per le nostre giornate. Dopo quello di asina, è il prodotto più simile al latte materno, ed è quindi ideale per i bambini.

Perché è diverso
Ed è proprio la ridotta presenza di caseina che rende i formaggi di capra così diversi da quelli fatti con latte vaccino. Sia nel sapore che nella produzione. La caseina è infatti la proteina che forma la cagliata. Il processo di caseificazione, vale a dire la scissione della parte proteica e grassa del latte da quella acquosa mediante l’utilizzo del caglio, risulta quindi più difficile, e con essa la stagionatura. Per questo i formaggi di capra sono quasi sempre freschi e a pasta molle, o al massimo semidura. Ecco allora che il tipico formaggio caprino a coagulazione lattica viene prodotto abbassando la quantità di pH nel latte, anziché con l’aggiunta (se non in quantità limitatissime) di caglio. La cagliata, prodotta in 12-36 ore, viene sistemata in appositi contenitori cilindrici forati per circa 24 ore per favorire l’eliminazione del siero. Dopodiché il caprino è pronto per essere consumato, subito o dopo una settimana di stagionatura.

E spunta… il latte vaccino
Il bello è che questa procedura può essere applicata anche al latte di mucca. Ecco perché, nei banchi dei supermercati, esistono anche i caprini… di latte vaccino. Occhio all’etichetta, dunque. A tavola il caprino può essere servito da solo o condito con spezie o olio extravergine d’oliva. Ottimo anche abbinato a pomodorini freschi o miele.



I francesi
In Francia ottimi caprini vengono prodotti soprattutto nella zona dei castelli della Loira, dove si possono apprezzare il crottin de chavignol (in particolare la versione stagionata con il tipico colore bluastro), la pyramid de Valençay o il cilindretto di Sainte Maure de Touraine dalla curiosa forma di salame, che contiene un filo di paglia per favorirne la stagionatura. O ancora il mâconnais della Borgogna.

Tra la Valsassina e le valli bresciane
In Italia, tra le terre d’elezione del formaggio di capra c’è certamente la Lombardia, in particolare la zona tra Lecco, Bergamo e la Valsassina, dove nascono sia il caprino a coagulazione lattica che il fiorone di capra, nonché alcune tipologie stagionate. In Valcamonica si trovano alcuni dei formaggi di capra più buoni e ricercati, ottenuti dalle capre bionde dell’Adamello: è il caso, ad esempio, del cadolet, un mattoncino a pasta morbida. Oppure il motelì, teneri tocchetti prodotti con l’aggiunta di caglio, lavorati con salatura a secco e stagionatura che varia dai 3 ai 15 giorni. Sempre in Valcamonica, lo sta’el viene prodotto con salatura in salamoia e stagionatura di 30 giorni, che gli conferisce il tipico colore paglierino, mentre la pasta rimane sempre molle e di colore bianco. Un autentico gioiello è il fatulì, piccole forme che si riconoscono per la loro crosta gialla brillante dovuta all’affumicatura e alla successiva stagionatura, che può durare da uno a 6 mesi, caso rarissimo per un formaggio di capra.

Dalla Val Vigezzo all’Alto Adige
Altra terra d’elezione dei formaggi di capra italiani, il Piemonte. Qui nascono capolavori come il blu di capra della Valcerrina, un erborinato stagionato 90 giorni, in cui si avverte l’influenza dei “blu” francesi. O il caprino della Val Vigezzo, dal gusto molto dolce. Alcuni formaggi di capra piemontesi, come pure lombardi, utilizzano la coagulazione presamica, che prevede l’aggiunta di fermenti lattici e caglio. Senza contare poi i tomini e le robiole prodotti con latte vaccino o caprino. In Liguria tutto da gustare è il caprino della Valbrevenna, formaggio a coagulazione lattica contraddistinto per la spolverata di cenere di faggio o di castagno. In Trentino-Alto Adige spicca invece il formaggio di capra di Lagundo, grossa forma a pasta molle che utilizza la coagulazione presamica.




Maremma e Ciociaria
Nell’Italia centrale si distinguono i caprini maremmani, spesso aromatizzati con pepe, peperoncino, erba cipollina, aglio, sesamo, menta, origano, mandorle e basilico. Oppure con carbone. Ma soprattutto c’è la marzolina di capra della Ciociaria, prodotta con caglio di capretto. La stagionatura avviene a secco dentro contenitori di vetro chiusi ermeticamente, oppure sottolio. La pasta è compatta, di color bianco latte, e diventa piccante man mano che si avanza con la stagionatura.

Al Sud
Al Sud, il re dei formaggi di capra è indubbiamente la cacioricotta del Cilento, prodotto riscaldando il latte a 85-90° e poi raffreddato a 36-37°. A questo punto avviene l’aggiunta di caglio di capretto. Le forme, dopo l’estrazione, si depositano in fuscelle, per poi lasciare posto alla salatura a secco o in salamoia: dopo una breve stagionatura che può arrivare al massimo a 2-3 mesi, si ottiene un formaggio a pasta semidura davvero unico nel panorama dei caprini nostrani. In Sicilia, poi, c’è l’antichissimo padduni, citato già da Omero, prodotto con caglio di agnello o capretto e a volte condito con pepe o peperoncino. È un formaggio fresco, morbidissimo e senza crosta: uno dei tanti capolavori da riscoprire della nostra gastronomia.
MOLANA DI BRALLO (O formaggella di Menconico) E IL NISSO DI MENCONICO

Due dei formaggi sopravvissuti tra quelli che in passato si ottenevano dal latte di bovine Varzese, entrambi tipici dell’Oltrepò Pavese, oggi vengono tutelati dalla denominazione di «prodotto agroalimentare tipico»: sono la
Molana di Brallo
(o «formaggella di Menconico») e il
Nisso di Menconico
, un piccolo comune in provincia di Pavia. La Molana, a pasta morbida, è tradizionalmente prodotta a Brallo di Pregòla e rappresenta un tipico esempio di formaggella dolce e delicata, che si consuma fresca o dopo una breve stagionatura.

Il Nisso di Menconico, prodotto nell’omonimo comune e nei limitrofi Brallo di Pregòla, Santa Margherita Staffora e Varzi, sempre nel Pavese, è invece un esempio giunto fino ai giorni nostri di formaggio «che salta», perché in passato la stagionatura era caratterizzata dalla presenza delle larve della mosca casearia (Piophila casei L.) le quali, se disturbate, si muovono con salti che possono raggiungere anche la lunghezza di 15-20 centimetri. La presenza delle larve conferiva un sapore intensamente piccante, dal quale deriva la denominazione di formaggio «che brucia». Ora, per rispettare le norme igieniche delle produzioni casearie, la presenza della larva non è più ammessa.

I prodotti possono fregiarsi del marchio DOP
Denominazione di Origine Protetta,
è il marchio di tutela giuridica della denominazione che  l’Unione europea attribuisce agli alimenti con caratteristiche qualitative che dipendono essenzialmente o esclusivamente dal territorio in cui sono stati prodotti. L’ambiente geografico comprende sia fattori naturali (clima, caratteristiche ambientali), sia fattori umani (tecniche di produzione tramandate nel tempo, artigianalità, savoir-faire) che, combinati insieme, consentono di ottenere un prodotto inimitabile al di fuori di una determinata zona produttiva. Nel gruppo troviamo  specialità alimentari come: salumi, formaggi, olio e alcuni ortofrutticoli. Affinché un prodotto sia DOP, le fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione devono avvenire in un’area geografica delimitata. Chi fa prodotti DOP deve attenersi alle rigide regole produttive stabilite nel disciplinare di produzione, e il rispetto di tali regole è garantito da uno specifico organismo di controllo. I colori del marchio sono il giallo e il rosso.
ASPETTO DEL PRODOTTO
Formaggio a pasta cruda, molle, da fresco (15 giorni) a breve stagionatura (20-40 giorni), prodotto con latte bovino intero pastorizzato in provincia di Pavia.
Forma rotonda con crosta solcata di colore bianco.
Facce piane di 20 cm di diametro
Scalzo diritto di 6-8 cm di altezza
Pasta morbida, di colore bianco, senza occhiature.
Peso medio della forma: da 600 a 1000 grammi
INGREDIENTI
Latte vaccino intero refrigerato di 2 mungitura
Fermenti lattici
Caglio di vitello liquido
Sale
FASI DI PROCESSO
Pastorizzazione del latte a 70 °C per 20 secondi
Raffreddamento del latte a 37 °C
Trasferimento del latte in caldaia
Aggiunta fermenti lattici.
Aggiunta coagulante
Coagulazione in 45 minuti
Rottura della cagliata a noce con lira
Trasferimento della cagliata con pompa entro stampi
Sosta della cagliata in stampi per 1 ora
Liberazione della forma
Salatura in salamoia per 3-6 ore
Stagionatura in frigorifero a 4 °C su scaffali di legno per 15-40 giorni con frequente rivoltamento.
NB. Esiste una tipologia di produzione che prevede la proteolisi della formaggella ad opera di Pyophila casei e la vendita in vasetti di vetro del prodotto ormai ridotto in crema di colore rosa - nocciola chiaro.
NISSO DI MENCONICO
Il Nisso di di Menconico, detto anche formaggio che salta o che brucia, è una specialità della Val Staffora, nell’alto Oltrepò Pavese.
Si tratta di un formaggio saporito e lievemente piccante grazie ad una lunga stagionatura, fatto con latte misto di vacca e di pecora interi, puri o miscelati.
La forma del Nisso è variabile, in base alle ciotole utilizzate per la sua conservazione, chiamate “amole”, che sono grossi recipienti a forma di anfora.
Per fare il Nisso si usa il latte pastorizzato di due mungiture, cui viene aggiunto caglio animale e portandolo a coagulazione a 37° per circa tre quarti d’ora; successivamente avviene la rottura della cagliata, la salatura in salamoia e la conservazione nelle ciotole.
In questa fase vengono aggiunti dei microorganismi per fargli assumere il tipico sapore piccante, dopo di che le amole vengono messe a stagionare per 12 – 24 mesi, con frequenti oliature della crosta.
Il Nisso di Menconico ha una consistenza cremosa ed un sapore intenso e caratteristico; è ideale come formaggio da tavola, da fine pasto.
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